È la memoria il mio punto di contatto. È con la memoria che, spesso, mi ritrovo a fare e i conti ma senza di lei sarei meno della metà di ciò che sento d’essere. Penso spesso a come la memoria funzioni in molti modi, alcuni molto strani. A volte sono i pensieri stessi. Flash confusi di situazioni magari sepolte eppure sempre vive: come cazzotti sul grugno ancora e ancora finché non ne puoi più. Altre volte, invece, sembrano fare giri più lunghi e complicati e dalla vita di tutti i giorni i ricordi si appigliano a piccoli ganci, microscopici suggerimenti. Basta una canzone? Sì, basta una canzone spesso per tornare sulla macchia di mia zia, ancora giovane, ancora bionda, con la mia voce che esclama eccitata: “Alza! Alza!” indicando l’autoradio. Ma a volte anche meno. Profumi e odori. Vestiti nuovi, fragranze antiche, mobili lucidati, interni d’automobili, plastica al sole.
Da uomo adulto mi sorprende sempre il piccolo viaggio mentale che mi ritrovo a fare al tramonto d’estate, quando scendo a gettare l’immondizia. Incredibile a dirsi ma l’immondizia è il mio tallone d’Achille. Forse un giorno scriverò un romanzo dove un giovane ed affascinante protagonista scopre per caso il viaggio nel tempo e lo scopre semplicemente ricevendo una zaffata di puzzo dal cassonetto al tramonto di una sera d’estate. Lo scopre tornando ragazzo, tornando appena fuori il campeggio in pieno Agosto, con i muscoli delle cosce indolenzite, forzando i piedi sui pedali della bicicletta. La pelle liscia, il viso appena adombrato dal primissimo pelo e tantissime aspettative ancora intatte. Un viaggio nel tempo intimo, privato, delicato e immutabile. Nulla di fantascientifico. Nulla di hollywoodiano.
È così che viviamo, con regole semplici e a volte bizzarre ma mai troppo spettacolari. Viviamo con in testa errori fatti, gravi mancanze, poderose conquiste e squisite vittorie; viviamo tenendole tutte in testa e aspettando che un suono ce le faccia riemergere, che un odore ce le richiami improvvisamente o che un ragionamento ce le risvegli. Viviamo con questa memoria sempre lì, sempre attenta a ciò che facciamo quasi avesse vita propria. Non potremmo che essere altro senza questa stramaledetta condanna.
Come potrei essere me stesso se non avessi appena dietro i pensieri quel litigio infinito con mio fratello? Mani di uomini adulti che si cercano per prendersi alla gola. Come sarei senza la noiosa spiegazione di mio padre su come guidare la macchina, prima di dirmi come accenderla? Come, senza la vista delle lacrime di mia madre? Come senza le risate fino alle lacrime con quell’amico, quel pomeriggio? Come, senza quelle lacrime di quell’amico risanate solo da risate senza un concreto motivo? Come sarei, oggi, se non portassi dentro quel disgustoso e rampante primo bacio, dato ad una ragazza, senza alcun sentimento? Come sarei se non ricordassi il primo, emozionante, bacio dato a quella che sarebbe stata, poi, mia moglie? O senza il suo sguardo fuori la chiesa? Senza la sensazione delle mie mani sulla pelle nuda, la bocca secca ad un colloquio di lavoro, le forbici che affondano nei capelli, le pagine del mio libro preferito sui polpastrelli, la vista di un piccolo callo dopo ore di guida, il rumore dei mattoni rotti dopo che quella bara era scesa nella tomba, un vagito, la puzza di merda, vetri che si rompono. Amore. Odio. Paura. Eccitazione. Risentimento.
Penso spesso che la memoria non sia tutto in una persona eppure è lì, appena dietro gli occhi di ciascuno di noi, che torna e torna ancora come le onde d’una marea soggetta sempre alle regole della natura. Ancora e ancora, sempre più grande e immensa perché i fatti di questa vita, mi sembra chiaro, sono troppo complicati per essere capiti tutti assieme e troppo velocemente. Impossibile capirli nel momento stesso in cui li viviamo.
Mentre forzo un poco il braccio per gettare il sacchetto dell’immondizia nella bocca spalancata del secchione, abbandonato sotto al sole morente d’un crepuscolo estivo, mi sembra chiaro che quel cassonetto di tanti anni fa, quello appena fuori il campeggio dove i miei genitori mi obbligavano ad arrivare controvoglia con la bicicletta, era un po’ la boa attorno a cui girare una volta da giovane e ancora mille volte da adulto. Ancora migliaia di volte per tutta la vita, sempre controvoglia, eppure vedendolo sempre come un nuovo giro di boa, giorno dopo giorno.
Non oggi magari, ma tra qualche tempo, quando diverrà anche questo un ricordo da visitare nuovamente.